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Archive for the ‘Tennis’ Category

Il tennis senza Nadal

Lo Us Open sta entrando nella sua fase più calda, e tutte le sue star stanno, per il momento, rispettando i pronostici e veleggiando senza troppi patemi. Una di queste stelle, però, è momentaneamente spenta, offuscata, senza luce. Ma il mondo del tennis, inesorabile, va avanti, non ammette pause, non può permettersi il lusso di aspettare chi è rimasto indietro. Di chi stiamo parlando? Ma di Rafael Nadal, ovviamente, sul cui rientro cala ogni giorno una nebbia sempre più fitta. Circolano foto dello spagnolo in palestra, intento a rimettere in sesto il proprio fisico e le proprie ginocchia, suo tallone d’Achille da sempre. Si dice che rientrerà a febbraio, chi teme per la fine della sua carriera. Ma in molti sembrano essersi già dimenticati di lui, in un certo senso si è già fatto il callo alla sua assenza, al fatto di non vedere più in tabellone uno dei pochi detentori del career Slam.

Allargando il discorso, proviamo a chiederci che cosa sarebbe stato il tennis senza Nadal. Non soltanto oggi per un (speriamo) breve periodo di tempo. Più in generale. Se quel ragazzino proveniente dall’arcipelago delle Baleari avesse deciso di giocare a calcio invece che prendere in mano una racchetta, quanto sarebbe stato diverso il nostro sport?

IL LOOK

Il primo Rafa, quello dei pinocchietti, delle canottiere e dei baffi Nike enormi (vedasi la finale del 2005 a Roma con Coria) era un vero e proprio tamarro. Altro che tennis in bianco. Altro che eleganza. Viva il truzzismo e chi lo predica. Sull’onda di Nadal, però, altri tennisti di grido (in primis il suo amico Moya) hanno iniziato a vestire in quel modo. E la canotta, da indumento prettamente da spiaggia o da pomeriggio afoso al bar con stecchino da denti, ciabatta e catenina al collo annessi, ha fatto il suo ingresso nell’elitario mondo della racchetta.

LA FIGURA DELLO ZIO

C’è stato il padre, c’è la madre, ci sono le mogli, ci sono stati e ci sono i coach, ma quando mai era stata così mitizzata la figura di uno zio nel tennis? Zio Toni, col suo perenne cappello calato sulla testa, la sua voce semi-fioca, la sua abbronzatura tutto l’anno, i suoi suggerimenti in barba al regolamento che vieta il coaching. Buona parte del successo del nipote, fatti due conti, deriva proprio da lui e dai suoi insegnamenti.

TENNIS E INFORTUNI

L’avvento di un giocatore come Nadal, dal fisico tanto forte quanto fragile, ha portato in primo piano la questione degli infortuni. Ogni volta che gioca, ogni smorfia che fa, ogni gesto verso il suo angolo, ogni benda sulla “rodilla”, sono eventi da seguire con attesa spasmodica. “Ma sarà infortunato? Ma avrà di nuovo la tendinite? Il suo piede fa contatto col gomito?”, e via discorrendo. Di riflesso, tale “mania” si è riversata anche sugli altri giocatori, per cui ogni medical time out è ormai diventato un dramma, quando in realtà, il più delle volte si tratta solo di (odiose) soste tattiche.

GLI SLAM DI FEDERER

Questo è il punto più annoso della questione. Senza volersi addentrare in ragionamenti da curva, molto probabilmente, non vi fosse stato Nadal, Roger avrebbe vinto almeno un paio di Roland Garros in più e almeno una volta il Master di Monte-Carlo. Fermandoci ai tornei sul rosso. Poi c’è la questione della finale di Wimbledon 2008, di Melbourne 2009….Insomma, il Signore dei record avrebbe potuto sfondare quota 20 Slam già da un pezzo.

IL GIOCO

Il power tennis già esisteva prima di Nadal, per carità, ma lo spagnolo ha introdotto un nuovo tipo di gioco, specie con la sua evoluzione negli anni. Se il primo Rafa era infatti un giocatore quasi prettamente difensivo, nel corso del tempo ha trasformato i suoi colpi in un mix letale tra aggressività e difesa, incluso anche un netto miglioramento nel tocco e sotto rete. Ne è così uscito un tipo di tennista per certi versi non riproducibile, capace di passanti da cinque metri dietro la linea di fondo come di dritti da buco in terra da metà campo. Definirlo terraiolo o arrotino è riduttivo (pur essendo la terra la sua superficie preferita e il colpo carico di spin la sua prerogativa). Sicuramente è difficilmente imitabile e in un certo senso unico, anche se, specie per la sua tattica contro Federer (martellare il rovescio) ha ispirato molti altri colleghi, seppur con risultati mediamente scarsi o nulli.

LA RIVALITA’

A proposito di Federer, era da anni che non si vedeva una rivalità del genere su un campo da tennis. Certo, le dicotomie, le differenze di stile e quant’altro ci sono sempre state e sempre ci saranno. Ma, anche grazie alla sempre maggiore copertura data dai mass media, Rafa e Roger sono ormai dipinti come due mondi distinti e inconciliabili (anche se i due vanno apparentemente d’amore e d’accordo). Hanno spaccato in due gli appassionati (anche troppo, si leggono spesso cose davvero repellenti, in un senso e nell’altro) e hanno, proprio per la loro diversità, ridato grande visibilità a uno sport come il tennis forse un po’ in crisi per l’assenza di personaggi. Non vi fosse stato Nadal ma il solo Federer, beh, molto probabilmente (visto anche il fatto che come talento e approccio ai match lo spagnolo è più, diciamo, accessibile) tutto questo interesse e tutta questa attesa per gli Slam non vi sarebbe stata negli ultimi anni. Oggi, o sei Federer o sei Nadal (in misura minore puoi essere un Djokovic). E le semplificazioni piacciono, avvicinano, anche se il vero appassionato dovrebbe saper cogliere le molte sfumature che stanno in mezzo. Ma questo è un altro discorso.

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Articolo pubblicato su http://www.ubitennis.com il 15 dicembre 2011 e scritto a quattro mani col fido Gianluca Comuniello.

 

Gianluca: Nicola, ci sei? Proviamo anche quest’anno ad individuare le dieci partite dell’anno? Però diciamo subito a scanso di equivoci che non le mettiamo in ordine di importanza o di qualità. Semplicemente ne elenchiamo dieci… sei pronto?
Nicola: Toh, chi si rivede! Il buon Comuniello. Certo che son pronto, anzi prontissimo. Sto scattando sullo sgabello cercando di imitare Nadal prima di un match.

 

FEDERER – DJOKOVIC semifinale Roland Garros 7-6 6-3 3-6 7-6 http://www.youtube.com/watch?v=Yil9PpIr1DA

Gianluca: non vorrei ripetermi e non so neanche se è giusto tentare di razionalizzare le parole che scrissi a caldo, subito dopo il match, ma questa è stata, a mio avviso, semplicemente, la PARTITA. Due giocatori che si giocano molto e che decidono di farlo a viso aperto. La terra battuta non è la loro superficie preferita, ma loro giocano talmente bene che portano la partita nel luogo ideale. E il pubblico va con loro: amore puro per questo sport e i francesi credono che questo sport sia Roger Federer. Punto. Luoghi da cui ho avuto la fortuna di vedere la partita: la tribuna stampa laterale del Philippe Chatrier. La sala stampa. La tribuna stampa dietro ai giocatori, vicinissima agli stessi (grazie Davide Zirone, che mi hai convinto ad andare fin là). In ognuno di questi tre luoghi sentivo espressioni stupefatte, Quel rovescio di Federer giocato con la palla dietro al corpo, ad UNA mano, che continua a non avere senso anche a mesi di distanza. Lo YES! urlato al mondo a fine partita da Roger. La consapevolezza, uscendo dal campo, di poter dire: “Ora chi se ne frega: posso anche non vedere mai più un solo quindici di tennis dal vivo. Meglio di così non si può”.
Nicola: buon per voi che avete goduto e sofferto dal vivo uno dei migliori match (credo di non esagerare) di sempre nella storia del tennis. Tre ore e trentanove minuti col piede pigiato sull’acceleratore, senza mai scalare di una marcia. Un tennis da strapparsi i vestiti e guardarsi la partita nudi per le emozioni e il pathos regalati. E quel punto di rovescio (fai bene a ricordarlo), quel quarto set con Nole che serve per il parziale e Roger che gli fa quattro vincenti in faccia…..aaaahhhh, che pomeriggio.

 

DJOKOVIC – FEDERER semifinale Us Open 6-7 4-6 6-3 6-2 7-5 http://www.youtube.com/watch?v=EXNc_iMkSIY

Gianluca: i tifosi dello svizzero, nel ripensare a questa partita anche negli anni a venire, prendano per favore un disco di Tiziano Ferro. Uno di quelli pre-outing. Prendano quello con “Sere Nere” e urlino insieme a Ferro nel ritornello “Perché fa male, male, male da morire”. Perché è questo quello che ha fatto a Roger e a milioni di suoi tifosi quel dritto in risposta tirato “ad cazzum” dal serbo, chiudendo gli occhi. Nole li aveva già punzecchiati, i tifosi di Roger quando aveva mostrato al mondo che un dritto vincente dello svizzero era figlio di una stecca. Ma con quel dritto senza senso dichiara la guerra e la vince, almeno per quel giorno. Una partita che esce dai normali codici matematici: Federer gioca bene due set e tre quarti, Djokovic due set e un quarto solamente. Ma vince il serbo.
Nicola: su questo match mi ero già espresso su questi lidi, beccandomi anche parecchie critiche. Per due set sembra di rivedere il proseguo della partita di pochi mesi prima a Parigi: il serbo che spinge spinge spinge e spinge e l’altro che tra un’aggiustata al ciuffo e l’altra gli ributta tutto a velocità doppia di contro balzo. Risultato? Due set a zero e match che sembra in ghiaccio. Poi arrivano i voli sulle nuvole, le stecche, gli sfarfallii e di colpo siamo al quinto. Rimarrà agli annali il commento di Ocleppo, che sul 5-3 40-15 Federer afferma che la partita è ormai finita. Non so se altri sostenitori dello svizzero abbiano fatto lo stesso, io ricordo solo che mio padre, seduto accanto a me, si dette una vistosa “toccata” ai gioielli di famiglia. Rivelatasi vana.

 

DJOKOVIC – MURRAY semifinale Foro Italico 6-1 3-6 7-6 http://www.youtube.com/watch?v=VQ37c1m7ByA

Gianluca: per quei pochi o molti di voi che non sono mai stati al Foro Italico, c’è da spiegare che con il calare delle tenebre diventa un posto veramente fetido in cui giocare a tennis. Da Monte Mario scende umidità con la stessa cattiveria degli elicotteri al napalm di Apocalypse Now. Insomma, non ti vien voglia di giocare bene a tennis. E invece Nole e Andy, solo pochi mesi prima protagonisti di una delle più brutte finali degli Australian Open, ci regalano un match da ricordare. Un match in cui Murray torna un giocatore vero, dopo mesi di balbettii. Ma alla fine perde. Guardando i km percorsi a fine partita tutti dicono che Djokovic stavolta non ce la può fare, in finale contro Rafa. Ma questo è Robo-Nole.
Nicola: un match che spiega due cose: come mai Djokovic quest’anno sia stato pressoché imbattibile fino a settembre e come mai Murray sia ancora un mezzo campione. NON PUOI servire per il match dopo avere rimesso in piedi una partita che sembrava persa (prima un set sotto, poi un break di svantaggio nel terzo), andare 30-15 e commettere poi nei punti successivi due pavidi e grondanti braccinismo doppi falli. Semplicemente non puoi. In mezzo c’è una lotta furibonda, feroce, maschia, tra i due migliori rovesci a due mani del circuito, visto che, per una volta, lo scozzese decide di mostrarci che anche lui, da quel lato, sa fare cose egregie e non solo tirare mozzarelle. Ps (notare l’agilità e la gaiezza con la quale Angelino Alfano al minuto 2.10 restituisce la pallina dalla tribuna).

 

DJOKOVIC – NADAL finale Miami 4-6 6-3 7-6  http://www.youtube.com/watch?v=FFlfxOcyALg

Gianluca: allora, arrivati a questa partita la situazione era la seguente: Nole aveva vinto Australian Open, Dubai e Indian Wells rispettivamente su Murray (oltre a Federer in semi), Federer e Nadal. Doveva ancora perdere una partita. Nadal doveva ancora vincere un torneo, ma aveva appena battuto Federer in semifinale in una partita a senso unico. Conterà più il precedente di Indian Wells o l’entusiasmo di Rafa per la schiacciante vittoria su Roger, ci si chiedeva.
Nicola: domanda più che legittima, allora. Anche se qualche mese e sei finali dopo appare quasi una battuta. A Miami Nadal scopre di avere trovato un avversario che fa tutto meglio di lui: col dritto, col rovescio, nella lotta, nella resistenza, con la testa. Tre ore e passa di mazzate, scambi estenuanti, urla, scivolate (nonostante si giochi sul cemento), spaccate. E’ power tennis allo stato puro. Non piace ai puristi. Non piace neanche a Rafa, contro un Nole così.

 

FOGNINI – MONTANES ottavi Roland Garros 4-6 6-4 3-6 6-3 11-9 http://www.youtube.com/watch?v=42S88fch20A

Gianluca: la partita che, insieme al ritorno in A di Davis, ha dato un senso alla stagione dell’italracchetta (sì, ok, finalmente abbiamo anche vinto un torneo con Seppi). E siccome noi italiani le cose, sia nel bene che nel male, riusciamo a farle solo sbracando di brutto ecco che “Fogna” si inventa una partita infinita, condita di tutti i crampi di questo mondo. E da nove, dicasi NOVE, falli di piede nella stretta finale del match. Nonostante questo, non raccontiamo l’ennesima sconfitta all’italiana ma una vittoria che porta Fabio per la prima volta ai quarti di finale. Che non disputerà mai, consunto da questa partita, incorrendo nel furore statistico di Scanagatta.
Nicola: a rivedere il video sembra impossibile che Fognini sia riuscito a vincere questa partita. Senza servizio, con l’incubo del fallo di piede o del doppio fallo, senza una gamba, solo con la testa e col braccio. E che braccio. Da fermo, vincenti a destra e sinistra, pure staffilate di talento, di classe, di quella facilità di gioco mai davvero espressa ma da tutti sempre percepita. Croce e delizia, questo è sempre stato il ligure. Croce e delizia anche in questo epilogo drammatico. Alla gioia per i quarti di finale si contrapporrà infatti poche ore dopo la consapevolezza di non poterseli manco disputare dato l’infortunio. Grazie lo stesso.

 

NADAL – DEL POTRO ottavi Wimbledon 7-6 3-6 7-6 6-4 http://www.youtube.com/watch?v=-o7CgXrspOc

Gianluca: Nicola, ti lascio il dettaglio tecnico-narrativo del match molto volentieri. Perché la cosa che più mi ricordo del match è Nadal che estende il regolamento ai limiti e si prende un Medical Time Out molto propizio prima del tie-break del primo set (stessa spiaggia stesso mare, verrebbe da dire, visto il precedente targato 2010 contro Petzschner).
Nicola: se non sbaglio Picasso voleva anche aspettare Nadal dopo la conferenza stampa per dirgliene (o dargliene?) quattro. Qua l’omone di Tandil invece non si scompone, ma, mentre Nadal deve ancora capire se la sua carriera sia o meno finita nei primi punti del tie break (le smorfie lasciavano presagire ciò), invece di approfittarne e portarsi a casa il set si impappina, si blocca e consente a Lazzaro di rialzarsi, di camminare (pure di correre) e di vincere il parziale probabilmente decisivo. Perché i set successivi saranno equilibratissimi (e altamente spettacolari), ma un conto è giocarseli in vantaggio, un altro è dover rincorrere.

 

TSONGA – FEDERER quarti Wimbledon 3-6 6-7 6-4 6-4 6-4 http://www.youtube.com/watch?v=ZR-vUu27Mbs

Gianluca: la partita che ha fatto dubitare anche a molti Federeriani che fosse veramente finita. In realtà Mr Slam già al lunedì contro Youzhny aveva cazzeggiato oltre il livello di guardia, pur giocando bene. I carri armati francesi partono lenti in questo match e permettono allo svizzero di sgraffignarsi di esperienza i primi due set, ma poi quando si mettono in marcia fanno subire a Roger la prima sconfitta Slam della carriera da un vantaggio di due set a zero. Tsonga diventa semplicemente “Unbreakable”, altro che Bruce Willis…
Nicola: se Jo usa i carri armati Federer al massimo è capace di rispondere a colpi di cerbottana e con l’acume tattico-militare di Sturmtruppen. Già, perché Roggy, una volta incamerati con discreto agio i primi due parziali, decide che la semifinale gliela debba concedere il suo avversario senza che lui debba sforzarsi di prendersela. Con l’aria da dandy annoiato che ogni tanto pervade i suoi match, lo sfizzero pensa più ad aggiustarsi il ciuffo che a combattere. Non un urlo, non una reazione, non un gesto “bellico” mentre l’altro sfonda a colpi di mortaio la sua linea Maginot e conquista la vittoria più bella della sua carriera con pieno merito.

 

TSONGA – PETZSCHNER  primo turno Australian Open 4-6 2-6 6-2 6-3 6-4 http://www.youtube.com/watch?v=FE4QfPj5qyU

Gianluca: gioia, paura e delirio a Melbourne. La partita che fa felice Andrea Scanzi. Te l’ha consigliata lui, Nicola?
Nicola: credo che in realtà il nostro conterraneo toscano avrebbe volentieri patrocinato la causa del match di cui sopra, sempre con Jo, ma con avversario il suo amato Schumacher del tennis (cit.) rimontato e irriso. Qua invece c’è Neuro Pecce (che ha una foto sulla sua pagina Atp che neanche Jack Torrance all’Overlook Hotel) che per due set scherza il francese. Lo devasta col servizio, ne fiacca le possenti gambe col suo back bassissimo, lo attacca all’improvviso. Insomma, per il francese (come dicono a Firenze) “l’è maiala”. Ma Pecce sa anche essere generoso e buono, a dispetto della barba da bruto e della sua allergia al sorriso. E così, tra un frizzo e un lazzo, va a perdere in cinque.

 

MURRAY – TROICKI quarti Roland Garros 4-6 4-6 6-3 6-2 7-5 http://www.youtube.com/watch?v=e5JvslJ9uE8&feature=related

Gianluca: questa la potremmo passare sotto il titolo “Il momento in cui il raccattapalle impazzì”.Povero ragazzo, faceva tenerezza. Anche del gran tennis, prima e dopo, però.
Nicola: Troicki ha quella faccia un po’ così, con quell’espressione un po’ così. Non trasmette molte sensazioni, ha la bocca perennemente aperta, gli occhi spesso sbarrati, una collanina che penzola fuori dalla maglietta. Insomma, sembra un po’ fesso, anche se forse non lo è. In questi due giorni sui quali si sviluppa questo stranissimo match, recita benissimo la parte, però. Va avanti di due set e un break (Murray sembra doversi ritirare, si tocca ovunque, boccheggia, pare reduce da una marcia Perugia-Assisi sotto il sole cocente, tanto mostra di essere provato). Poi si spegne. Puff. In un baleno, prima che il buio avvolga il Lenglen, lo scozzese ha pareggiato il conto. Il giorno dopo si gioca al meglio di un set. E ancora, Viktor (dopo aver smoccolato in serbo per via del raccattapalle che di fatto lo priva di un punto) sale 5-2. Sembra fatta. Sembra. Poi si ricorda chi è. E cede 5 giochi di fila.

 

FERRER – DEL POTRO finale Coppa Davis 6-2 6-7 3-6 6-4 6-3 http://www.youtube.com/watch?v=VeeowXvp7Ps

Gianluca: è difficile, credo, far piangere un omone come Del Potro, ma la sconfitta in questa partita, più che quella contro Nadal, secondo me, lo ha portato a tanto. Il match base della sfida: con Del Potro sopra due set a uno, l’Argentina già assaporava il pareggio nella prima giornata. Ciò avrebbe significato probabilmente il vantaggio dopo il match di doppio (regolarmente vinto in maniera abbastanza agevole). E poi, il terzo giorno, sul vantaggio di due a uno, avrebbero potuto caricare il destino della nazionale sulle spalle caricate a pallettoni di Juan Martin o su quelle artistiche di Nalbandian, che ormai vive per farsi trovar pronto all’appuntamento con il destino tennistico dell’Argentina. La Nalba assaporava questa possibilità. L’Argentina tutta la assaporava. Ma nel quarto set le cose cominciano a mettersi male…
Nicola: già, nel quarto set l’omino gobbo di Valencia è ancora lì che sgambetta e sbuffa, mentre la spia dell’omone di Tandil comincia a lampeggiare. Juan Martin avrebbe anche le chance per chiuderla in quattro, ma le gambe (e forse pure un pizzico di desuetudine a match del genere) non lo assistono più. Nel quinto è ormai vittima designata e la Spagna, come dici tu, più che col punto di Rafa, è qua che capisce davvero di aver vinto la Davis.

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Articolo pubblicato oggi sul sito http://www.ubitennis.com

Se avevate amato, letto con trasporto, passione, curiosità e un po’ di stupore “Open”, la biografia di Andre Agassi, questo libro potrebbe non fare al caso vostro. O meglio, per apprezzarlo dovrete sforzarvi di non pretendere troppo da esso. Di non trovarvi aneddoti succosi, bizzarri e accattivanti pagina dopo pagina. Di non fare scoperte sensazionali (Nadal non ha mai usato un toupet, tanto per dire).

“My Story”, la biografia scritta da Rafael Nadal col giornalista inglese John Carlin, firma di El Pais, è un libro che lascia con un po’ di amaro in bocca l’appassionato verace. Quando ci si avvicina ad un’opera riguardante un campione dello sport, infatti, ciò che solitamente un lettore brama sono episodi mai sentiti, giudizi (meglio se pepati) sugli altri giocatori, opinioni forti, decise, nette. La storia dell’attuale numero 2 del mondo, invece, ha intrapreso decisamente un’altra strada. Quella del politically correct, dei pareri misurati, del non volersi esporre mai troppo. Una strada, volendo usare una parola sola, “buonista”. 

E dire che, perlomeno a livello di impostazione strutturale, il libro adotta una forma curiosa, originale ed efficace allo stesso tempo. Per ogni capitolo descritto con l’io narrante, infatti, ve n’è uno in terza persona, dove le persone più care a Nadal (famiglia, amici, fidanzata, staff), dicono la loro su Rafa per approfondire aspetti che nelle parti in prima persona sono lasciati indietro.
Inoltrel’opera può essere divisa in due parti. Una prima parte (che è anche la più lunga) dove il maiorchino ripercorre passo dopo passo la finale di Wimbledon 2008 all’inizio di ogni capitolo, per poi virare su altri temi e riprendere il film della partita al capitolo successivo, fino al culmine finale (“un’invasione di pura gioia”) della sua fantastica vittoria. La seconda parte, più breve, vede invece diluita in più parti spezzate tra loro la vincente campagna degli Us Open 2010. La differenza di trasporto e carica emotiva nel ricordare le due partite è abbastanza evidente. Se l’epica finale dei Championships è vissuta e descritta in modo quasi maniacale, con interi game ripercorsi punto a punto, con un’enfasi particolare sulle fortissime sensazioni vissute quel pomeriggio infinito, l’atto conclusivo di Flushing Meadows scorre via più liscio, coinvolge meno il lettore, lo porta meno all’interno dell’arena. Le vittorie al Roland Garros, invece, sono appena accennate (salvo la prima nel 2005, comunque trattata in modo piuttosto sbrigativo), quasi come se per Rafa sia stato normale vincere così tante volte quel torneo.

La triade con la quale siamo trasportati nella vita del campione spagnolo è la seguente: lavoro, famiglia, Manacor. Nel libro si susseguono, col rischio (e qualcosa in più) di risultare ripetitivi, esempi relativi all’importanza del lavoro, della fatica, della resistenza mentale, fisica, psicologica; del fondamentale ruolo giocato dalla sua famiglia, sempre con lui, sempre pronta a sostenerlo, aiutarlo; della gioia di ogni ritorno a casa, a Manacor, dove Nadal può finalmente essere se stesso, senza che nessuno gli chieda autografi o lo guardi dal basso verso l’alto. Un ruolo a sé lo recita lo zio Toni, una sorta di Mike Agassi alla meno uno. Severo, austero, quasi cattivo e sadico nei confronti del nipote, tanto da risultare in certi casi indigesto al resto della famiglia, in particolare alla madre di Rafa. Ma, nella descrizione del nipote, fondamentale nella sua crescita mentale, nella sua maturazione come uomo e come atleta. Una, se non la principale, delle chiavi del suo successo, insomma.

Quel che manca alla biografia è una scintilla di fantasia, di originalità. Non si esce mai dal sentiero dell’importanza dell’umiltà, del lavoro che ripaga sul campo, della famiglia come collante (e quando i genitori si separano se ne vedono le conseguenze, infatti), della bellezza di uscire con gli amici d’infanzia appena possibile. Non vi è una vera e propria descrizione della rivalità con Federer. Oltre ad elogi sperticati per il talento di Roger, pare impossibile che non vi sia neanche un aneddoto simpatico da aggiungere alla mera descrizione del gioco dello svizzero, alla forza del suo diritto, allo schema da adottare contro di lui (che è quello che tutti conosciamo, mettere la palla di là, alta, sul rovescio elvetico). Gli altri giocatori, salvo Djokovic, sembrano non esistere. Non una parola, per dire, sulla smutandata di Soderling a Wimbledon 2007, sulla lite con Berdych a Madrid nel 2006, e su altri mille, piccoli, possibili spunti.

Alla fine, ci si deve accontentare di un aereo low-cost preso tra lo stupore degli altri passeggeri e di un soggiorno improvvisato alle tre del mattino nella campagna francese. Un po’ poco, sinceramente.

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Un choker da 16 Slam

Un pezzo di riga. Un centimetro di nastro. Il tennis sa essere crudele come pochi sport al mondo a volte. Lo sa bene Roger Federer, che avrebbe gradito un campo meno largo e una rete meno alta, per una volta. Quante volte potrà pensare, “ah se quella risposta di Djokovic fosse finita poco più in là”, “ah se quel nastro fosse stato meno tirato, appena più basso”. Se tutto ciò si fosse realizzato, lo svizzero sarebbe in finale agli Us Open, avendo battuto in 5 set, in un match prima dominato poi da dominato, il mostro serbo, Novak il nazionalista. E invece no, stessa storia del 2010, la stessa fottutissima storia, caro Roger. Lì ti venne il braccino sui due match point, stavolta hai oggettivamente avuto sfortuna. Ma le analogie sono tremende. Entrambe le volte rimontato. Entrambe le volte con due palle per la finale. Entrambe le volte a mani vuote. Con le pive nel sacco.

Sì, Roger, hai avuto sfortuna, sul 5-3 40-15 hai pure messo due prime di fila. Sul primo quindici l’altro ha tirato ad occhi chiusi, quasi per gioco, così, quasi per farsi due risate, se la tirava sui teloni. Sul 40-30 hai colpito di dritto quel net. La palla poteva cadere in campo, certo. O fuori, come è poi accaduto.

Ma poi? Cosa è successo in quella testa? Perché hai iniziato a giocare sapendo di avere già perso. In fondo il punteggio era ancora dalla tua parte. Stavi ancora servendo, eri ancora a due punti dal match. E invece no. Buio totale. Dissolvenza cerebrale, fisica, psichica. Colpi buttati, risposte pigre, testa bassa, ciondolante, espressione dimessa.

Il punto, caro Rogi, è che chi ti segue con affetto da anni già conosceva il punteggio finale nel momento in cui quel maledetto nastro ti ha negato la vittoria. Già era conscio del 7-5 conclusivo. Aveva già negli occhi i successivi tre game. Immaginava già la mesta stretta di mano e la successiva esultanza con tanto di tre dita del vincitore. Perché, col tempo, sei diventato prevedibile nel tuo essere un grandissimo choker da 16 Slam.

In conferenza stampa hai usato queste illuminanti parole: ‎”it’s awkward having to explain this loss because I feel like I should be doing the other press conference.”

Ti è capitato davvero troppe volte di sentire di dover fare l’altra conferenza stampa.

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