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Dopo tre anni dall’ultimo lavoro (“Contatti”) un po’ a sorpresa e senza preavviso alcuno, Cristian Bugatti, in arte Bugo, ad inizio settembre aveva annunciato a tutti, tramite la sua pagina facebook, l’uscita del suo nuovo disco, “Nuovi rimedi per la miopia”.

L’attesa era stata molta, visto che, appunto, per circa due anni il cantante novarese non aveva lasciato trapelare nulla riguardo al quando, al come e al perché di un’ eventuale nuova fatica. Quella stessa attesa, ora che possiam rigiraci tra le mani il cd nuovo di zecca, viene però frustrata e quasi resa vana, visto ciò che le nostre orecchie son costrette a sentire.

Senza girarci troppo intorno: “Nuovi rimedi per la miopia” è un disco molto deludente, sotto parecchi punti di vista. Delle dieci tracce, nessuna spicca in modo particolare tra le altre. La spensieratezza, la freschezza, la lucida e ludica follia che hanno reso celebre Bugo sono solo uno sbiadito ricordo. L’uscita del singolo (“I miei occhi vedono”) aveva già lasciato trapelare qualcosa in questo senso. In realtà, alla fine, uno dei migliori episodi del cd sarà proprio questo.

Il punto è che il Bugatti ha deciso tutto ad un tratto di farsi serio. Pure troppo. E di appiattirsi su soluzioni musicali già esplorate in lungo e in largo da altri artisti italiani. Uno di questi (e non sorprendetevi troppo, perché il nostro ne è un estimatore) è  nientemeno che Vasco Rossi. Sì, proprio lui, mr Nonciclopedia. Almeno un paio di canzoni sembrano fare il verso al rocker di Zocca. In “Non ho tempo” sembra di risentire il Blasco di “Buoni e Cattivi”, mentre nella melensa e sciapita “Comunque io voglio te” manca solo l’immancabile “eeeeeeeeeeeeeeeeeeee” da stadio.

Anche l’elettronica che ha contraddistinto alcune delle più ispirate hit di Bugo, e attraversato praticamente per intero il precedente “Contatti”, è usata in modo più parsimonioso e meno spiazzante. Certo, si intuisce che il lavoro sul suono è stato tanto e pure di ottima fattura, con alcune soluzioni pregevoli (vedi il jingle quasi pubblicitario in “Mattino”), però, ecco, il tutto in contesto di scarsa innovatività e voglia di stupire, cosa che Bugo ha dimostrato di saper fare eccome.

Detto del singolo, alla fine, forse, il pezzo migliore risulta la traccia finale, “Città cadavere”, col suo incedere lento e cadenzato che rimanda a “Notte giovane”, chiusura di “Arriva Golia”. Altre canzoni, (“Il sangue mi fa vento”, “Lamentazione nr 322”), si sviluppano su di un interessante tappeto elettronico (la seconda in particolare ha qualcosa degli ultimi Subsonica), ma presentano testi davvero scialbi, compredenti un (appunto) lamento verso Dio che risulta quasi goffo.

Se Bugo voleva avvicinarsi ad un cantautorato più classico, forse, la strada migliore da seguire era quello del sorprendente (in positivo) “Golia e Melchiorre”, appendice acustica di “Arriva Golia”, dove le doti di chitarrista dell’artista risiedente in India da due anni erano messe in risalto. Forse è stato proprio questo cambio di vita ad influenzare le scelte e le tematiche di quest’album.

Adesso non resta che aspettare il prossimo disco, per capire se “Nuovi rimedi per la miopia”  sia stato soltanto una parentesi oppure l’inizio di qualcosa di diverso. Certo è che, adesso, Bugarsi sarà un po’ meno piacevole.

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