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C’è molta Roma in questa nuova fatica di Sorrentino. E c’è anche (va quasi da sé) molta bellezza. La bellezza della Città Eterna. Coi suoi scorci magici, i suoi monumenti, i suoi angoli più reconditi ma immensamente affascinanti. E poi c’è lui. Jep Gambardella (Toni Servillo). Che Roma la assapora, la divora. E da essa si fa divorare.

Da molti anni Jep, oltre ad essere un giornalista affermato, è anche uno dei principali attori della vita notturna della Capitale, con le sue feste nella sua casa con terrazza vista Colosseo, con le sue conoscenze e le sue amicizie in alto, tra Cardinali, Sante e persone con le chiavi dei Palazzi Romani.

Intorno a Jep c’è tutto un mondo. C’è il fallito (Carlo Verdone) che lo adula e lo vede come un mito, cercando di rubarne per proprietà transitiva qualche stilla di fascino e potere. C’è la ricca che non lavora (Isabella Ferrari) con la casa in piazza Navona. C’è la figlia di un suo amico di vecchia data che fa soldi con gli striptease (Sabrina Ferilli). C’è, insomma, tutto il sottobosco della mondanità romana. Che, periodicamente, si raduna sulla terrazza di casa Gambardella a discutere del più o del meno o a fare trenini a base di coca e alcol al ritmo di un’assordante musica disco, con la quale si apre il film.

Quel che colpisce dell’opera, oltre alla solita (quasi pleonastica da far notare) incredibile prestazione di Servillo, è il lavoro di fino sulla sceneggiatura e sulle luci. Davvero notevoli. Idem per quanto riguarda la ricercatezza delle inquadrature, alcune davvero singolari.

Sì, ma qual è la trama? Beh, qui sta il trucco. In realtà, ne “La grande bellezza”, non esiste una vera e propria trama. C’è un ricordo di un amore giovanile a legare tra loro alcune vicende contemporanee di Jep. Ma tutto il resto sembra lasciato fluire in base agli umori del protagonista e alla sua smania di partecipare alle feste, nonostante i 65 anni. Ci sono tante piccole microstorie: il rapporto col personaggio di Carlo Verdone, la scoperta della morte di una persona a lui cara in gioventù, un rapido amore durato il tempo di una sera, la conoscenza di un Cardinale, eccetera. Ma il centro di tutto sono le orge goderecce organizzate a casa di Jep, con la loro vacuità e i penosi balletti di queste persone la cui ragione di vita sembra, appunto, solo quella di atteggiarsi a finti dandy su comodi divanetti in vimini o di scatenarsi in oscene danze o trenini davanti alla solenne bellezza del Colosseo.

Per una buona ora e mezza il film scorre piacevolmente, strappando qua e là anche qualche sorriso. Nell’ultima parte, però, le idee di Sorrentino sembrano esaurirsi, e cominciano a susseguirsi una serie di situazioni talmente paradossali da apparire quasi dei riempitivi per portare a termine il lavoro.

Vero è, che tali situazioni cominciano a palesarsi proprio quando Jep sembra iniziare egli stesso a stancarsi della sua vita da eterno giovanotto scapigliato. Si percepisce, infatti, una certa delusione e un senso di vuoto. Ma basta una festa e tutto torna come prima.

Quel che, in conclusione, sembra mancare a “La grande bellezza” per renderlo davvero un grande film, è una trama più decisa, che vada al di là delle (alla lunga quasi ripetitive) scorribande del protagonista. Oltre a ciò, si potevano rendere più incisivi certi personaggi, che, invece (vedi quello di Carlo Verdone), scivolano via senza lasciare traccia.

Sorrentino riesce però comunque a condurci attraverso un magico viaggio dentro le bellezze di una città straordinaria come Roma, contrapponendole con sapienza al vuoto pneumatico di molti personaggi che la popolano. E quel Colosseo sempre sullo sfondo, sembra messo lì apposta a vegliare e a perdonare come un Padre i vizi di chi di tale bellezza vorrebbe nutrirsi, ma probabilmente non vi riuscirà mai.

Voto: 6/7

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